Gli USA dopo il voto vanno verso l’isolazionismo?
Tra gli aspetti messi in rilievo dagli osservatori e dagli analisti, spicca in particolare il possibile isolazionismo che potrebbe tornare a caratterizzare la maggiore potenza mondiale, dopo decenni di interventismo frenetico a livello globale. Un isolazionismo desunto in particolare dalle interviste rilasciate dal nuovo presidente prima del voto popolare e dalle dichiarazioni fatte durante gli scontri televisivi con Hillary Clinton.
In particolare, Trump ha affermato in queste occasioni la sua volontà di non fare più intervenire gli Stati Uniti in occasione di ogni possibile crisi che torni ad agitare gli scenari internazionali. In pratica, gli unici interventi consentiti dovrebbero essere quelli tesi alla risoluzione di problemi comuni, da portare però avanti in sinergia con una serie di organismi, statali o economici, i quali perseguano l’intento di muoversi in concerto e verso una sola direzione.
Si tratta, con tutta evidenza, di una politica estera che ha scarsi punti di contatto con quella portata avanti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, sia dalle amministrazioni democratiche che da quelle repubblicane. Tale perciò da far avanzare una serie di domande, anche in relazione alle possibili implicazioni di questa svolta per il mondo degli affari e per le imprese.
In tal senso va rimarcato come già nel corso della sua galoppata elettorale, Trump avesse dichiarato la sua intenzione di elevare dazi ai danni delle imprese statunitensi che delocalizzano, per poi vendere i propri prodotti sul mercato interno. Una pratica diventata generale, con la quale le aziende hanno abbattuto i costi del lavoro, a danno però degli indici occupazionali. Basti pensare in tal senso che United Technologies Corp., che produce dispositivi per la climatizzazione degli aerei, stava pensando di spostare i suoi stabilimenti in Messico, ove avrebbe ricompensato i suoi dipendenti 3 dollari all’ora, contro gli oltre 20 necessari negli States. Proprio per evitare pratiche di questo genere, Trump ha proposto di elevare un dazio del 35%, procurandosi l’accusa da parte del Wall Street Journal di danneggiare le imprese, che andrebbero invece lasciate libere di mettere in campo le mosse più giuste per massimizzare i profitti.
Altro fronte che ha fatto molto discutere in relazione agli USA, dopo il voto, è poi quello che potrebbe vedere Trump sfidare la Cina, ancora una volta a colpi di dazi doganali. Uno scenario non nuovo a dire il vero, se si pensa che già nel settore delle energie rinnovabili le politiche portate avanti a colpi di dumping dai produttori orientali hanno provocato la risposta statunitense. Se però lo scontro dovesse acuirsi, le conseguenze potrebbero stavolta essere di larga portata. Basti pensare che le esportazioni degli Stati Uniti verso il gigante asiatico si sono attestate nel 2015 a 115 miliardi di dollari. Il quotidiano Global Times, che scrive su input del governo cinese, ha già fatto sapere che la risposta non potrebbe che essere speculare. In tal caso, però, ad avvantaggiarsi della nuova situazione degli USA dopo il voto potrebbero essere le imprese europee, che guardano con grande interesse all’evoluzione degli eventi.